Ridiamo valore alla speranza nella sua definizione più profonda. Quella che gli psicologi riconoscono come il meccanismo di adeguamento emozionale che nasce dal desiderio e dalla convinzione che un futuro immaginato possa diventare realtà. La speranza è ciò che ci occorre per gestire e contrastare la nostra idea di un mondo che sta andando in rovina. Ne abbiamo bisogno per procedere, per credere che un mondo migliore sia possibile. Avere speranza non significa ignorare le possibilità che le cose non vadano come vorremmo. Mettiamola così: avere speranza non ci spinge a ignorare le possibilità negative ma nemmeno quelle positive.
Nella mitologia greca, Pandora è stata la prima donna mortale voluta da Zeus il quale le ha affidato il noto vaso chiedendole di non aprirlo mai. La sua apertura, infatti, avrebbe liberato tutti i mali in esso custoditi che si sarebbero diffusi tra gli uomini. Ma Pandora, incuriosita, non ascoltò quanto detto da Zeus e aprì il vaso liberando quindi: vecchiaia, gelosia, malattia, dolore, pazzia e vizio. Mali che si abbatterono sul genere umano. Nel vaso rimase la speranza che non fece in tempo a uscire perché il vaso venne richiuso. Se prima il mondo era un luogo in cui gli uomini erano immortali perché liberi da fatiche, preoccupazioni e mali, dopo l’apertura del vaso di Pandora il mondo divenne un luogo desolato, inospitale e cupo. Fino a quando, Pandora, decise di liberare anche la speranza.
È la speranza che ci dà forza. Che ci fa lottare. È la sola cosa che ci resta quando tutto è perduto .
Pandora
La speranza non è una magra consolazione come siamo portati a credere. Andando più in profondità, anche ripensando alla leggenda greca, emerge un valore della speranza differente: un’opportunità per risollevare gli esseri umani dalle preoccupazioni, dai mali e dalle difficoltà. Il prerequisito della speranza è un senso di insoddisfazione rispetto alla situazione attuale. Questo stato crea un terreno fertile per ambire a qualcosa di migliore. Se pensiamo a tutti i movimenti per i diritti civili nati nel mondo nei secoli, si sono nutriti di un’intensa insoddisfazione alimentata da sentimenti di rabbia e ingiustizia. Ogni volta, però, è stata la speranza a far sollevare la testa e iniziare una campagna attiva verso un futuro migliore.
Possiamo sentirci ottimisti anche quando non abbiamo la possibilità di intervenire nella situazione, ma siamo speranzosi quando il nostro credo si tramuta in azione. La speranza nasce dalla percezione di poter fare qualcosa concretamente, dalla motivazione che si genera quando comprendiamo che un pensiero può essere trasformato in realtà. È il carburante emozionale che ci spinge a gestire lo stress e a perseverare nonostante i problemi.
Tutti i visionari che hanno cambiato la storia hanno tratto forza dalla propria speranza. Martin Luther King, Mahatma Gandhi, Marie Curie, Steve Jobs hanno avuto un tratto caratteristico in comune: hanno creato nuovi mondi sulla base di ciò che sembrava loro possibile. Hanno avuto la capacità di vedere oltre ciò che era per cercare cosa sarebbe potuto essere. Hanno avuto speranza nel momento in cui hanno visto cosa fosse possibile e non cosa fosse solo probabile.
La speranza non è una negazione della realtà ma, piuttosto, un rifiuto della realtà alimentato dalla certezza che si possa fare meglio.
Barack Obama, durante la sua campagna elettorale del 2018, citava spesso il sentimento di speranza definendola la ragione per cui «sono avvenuti i più grandi cambiamenti che l’America abbia mai visto». Se crediamo che il mondo possa andare meglio di così saremo portati a fare la differenza uscendo da quel senso di impotenza che si alimenta in una realtà senza speranza alcuna.
La speranza non ci impedisce il fallimento. Ma ci rende persistenti. Sarà anche inflazionata,ma la citazione di Thomas Edison, inventore della lampadina, resta efficace per dare forza a questo concetto:
Non ho fallito. Ho solamente provato 10.000 metodi che non hanno funzionato.
Thomas Edison
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