Sappiamo da sempre che i contenuti emozionali dei film e dei programmi della tv possono influire sul nostro stato emotivo e psicologico. Ne viene contagiato il nostro umore che poi, come un effetto domino potente, arriva a influenzare molti aspetti del nostro pensare e delle nostre credenze. Se, quindi, un programma televisivo genera esperienze di umore negativo come ansia, tristezza, disgusto e rabbia, queste stesse esperienze andranno a influenzare il nostro sguardo sul mondo, la nostra interpretazione dei fatti che accadono.
Ancora di più, questo stato provocato da sollecitazioni esterne ci spinge a ricordare gli eventi più traumatici della nostra vita e ci accompagna verso una maggiore preoccupazione di ciò che accadrà da quel momento in poi. Tutto questo processo accade quando ci poniamo per lungo tempo alla fruizione passiva di film e programmi televisivi con messaggi negativi.
Cosa accade con le notizie?
Prova solo a immaginarlo. Negli ultimi 20-30 anni abbiamo assistito a un graduale ma costante incremento di notizie sensazionalistiche. Titoli da prima pagina che ospitano parole come “orrore”, “tragedia”, “strage”, “paura”. Nel mondo, ogni giorno, accadono un numero impressionante di fatti negativi ed è giusto che, come lettori, ne veniamo a conoscenza. Sto parlando, naturalmente, di crimini, fame nel mondo, guerre, arresti politici, ingiustizie tanto per nominarne alcuni. Ma sarai d’accordo con me che la tendenza dei media è quella di caricare emotivamente queste stesse notizie e di enfatizzare ogni potenziale aspetto negativo di una storia, senza badare agli effetti che produce una simile scelta redazionale.
Allarmismo, questo è il termine adatto per descrivere quanto accade ogni singolo giorno nelle nostre menti a causa dell’enfatizzazione di notizie negative sui media.Ora prova a immaginare questo processo di influenza sul nostro umore attivo 24 ore su 24. È ciò che accade oggi con tutti i canali di informazione a cui possiamo accedere, talvolta per scelta altre volte in modo passivo.
Durante il mio percorso professionale mi hanno sempre insegnato che il giornalista deve descrivere in modo imparziale ciò che nel mondo accade.
Svolgendo la professione sono arrivata a due conclusioni personali:

  • Il giornalista non rappresenta semplicemente la realtà ma invita il lettore a guardare in una direzione precisa. Il suo ruolo va molto più in là del mero racconto dei fatti. Il giornalista, attraverso le sue parole, indica inevitabilmente un percorso, una visione. Anche quando non sceglie di farlo questo accade nel momento stesso in cui il lettore legge la notizia.
  • L’obiettività del giornalista è un’illusione. Ogni storia raccontata porta con sé la biografia di chi la scrive. Accade quando si sceglie cosa raccontare e cosa tralasciare, quando si decidono le domande da porre, quando si descrive i protagonisti della storia ponendo l’attenzione su un aspetto in particolare. E che dire poi dei dettagli condivisi e della scelta di concludere l’articolo lasciando il lettore con l’amaro in bocca o con un dolce sapore di soluzione possibile?

Non tutto ciò che è scritto è esattamente così, quella è solo una possibile visione delle cose. Ce ne sono altre che vale la pena di cercare, ipotizzare o immaginare.
Smettiamo di leggere le notizie? No, continuiamo a farlo ma adottiamo un approccio consapevole e critico equilibrando il genere di informazioni che lasciamo entrare nella nostra vita. Uno studio condotto qualche anno fa dalla psicologa Barbara Fredrickson ha definito la Positive Ratio: occorrono 3 emozioni positive per equilibrare gli effetti di una emozione negativa. Questo studio è stato applicato anche alla fruizione di notizie evidenziando che sono necessarie 3 notizie positive per livellare il nostro umore dopo la lettura di una notizia negativa.