La domanda che leggi in questo titolo l’ha posta lo scrittore e giornalista americano Donald Barthelme a un suo studente. Ho letto questo aneddoto sul libro “Semina come un artista” di Austin Kleon. “Fai cose che ti piacciono e parla di quello che ami: così attrarrai persone che condividono i tuoi interessi. È semplicissimo” aggiunge l’autore di bestseller.
Trovo che queste parole rappresentino un buon punto di partenza per riflettere sulla propria presenza sui social media e su come scegliamo di comunicare. Quanto tempo impieghiamo a preoccuparci di non pubblicare contenuti che siano troppo simili a quelli di altri? E quante volte abbiamo la sensazione di doverci adattare a ciò che sembra essere di tendenza?
Una delle ragioni per cui ci sentiamo bloccati e rischiamo di non procedere con la nostra comunicazione digitale è proprio legata al dubbio su cosa pubblicare, quale formato utilizzare, come mettere in atto una strategia di successo.
E se la soluzione fosse smettere di farsi queste domande? E se avessimo semplicemente bisogno di “essere” prima ancora di “esserci”? Una volta tanto sarebbe utile indossare i paraocchi per poterci concentrare su chi siamo e cosa stiamo facendo togliendo attenzione a ciò che fanno gli altri.
Se ora ci prendessimo una pausa per fare un giro sui social network che più utilizziamo potremmo notare un forte senso di omologazione nei contenuti, nei linguaggi, nei messaggi. Questo funziona, questo no. Fai questo per attirare più follower. Usa queste call to action per coinvolgere la community. Parla di questo argomento che funziona.
La senti anche tu l’ansia da prestazione salire?
La paura di non essere in grado di creare contenuti sui social media come fanno “quelli bravi”. Eccolo qui il blocco. Quello che ci fa pensare di non essere capaci perché quel linguaggio non ci appartiene, o perché le call to action proposte sono troppo costruite o perché parlare di quell’argomento attira l’algoritmo ma noi sentiamo di non avere nulla da dire.
Va tutto bene. Respira.
Il vero atto di coraggio, in questo momento, è quello di tornare alla nostra individualità. Ciò che ci rende davvero unici e che fa sì che le persone ci scelgano. Ciò che noi rappresentiamo è importante. È lì che si cela tutto il valore che possiamo donare. Ecco perché occorre fare un consapevole e sereno passo indietro. Fermiamoci e ricominciamo.
Cercare di essere qualcun altro o emulare ciò che altri stanno facendo perché sembra funzionare, non è solo un lavoro molto più difficile, ma potrebbe non allinearsi con i nostri valori. Finiremmo, così, per attrarre le persone sbagliate e ci potremmo perdere delle connessioni significative.
Proviamo quindi a ripartire da noi. Dall’essere prima di esserci.
- In cosa credi? Qui la riflessione è ampia e richiede tempo. Trovalo perché ti farà bene. Si tratta di esplorare i propri valori personali e le sfumature del nostro perché. Ciò in cui crediamo è ciò che ci rende unici. Mettiamo da parte la paura di prendere posizione: è proprio su questo terreno che ci possiamo giocare la nostra unicità e risultare interessanti. “La paura spesso è solo una fantasia che ha preso una brutta piega” scrive Austin Kleon.
- Dove vuoi andare? La strada te la puoi costruire tu. Abbandona i sentieri imposti dagli altri perché quello è il territorio dove, forse, ti vede l’algoritmo ma potrebbero non notarti le persone interessate a ciò che racconti. Prendi appunti quando trovi qualcosa di interessante e prova a elaborarlo adattandolo a te. Stai alla larga da chi ti fa sentire fuori posto o ti genera un sentimento di inadeguatezza.
- Come parli con i tuoi amici? Uno dei modi più interessanti per trovare il coraggio di proporci con autenticità è prendere nota di tutte le volte che una persona che ci conosce bene ci fa notare che la nostra versione digitale è tanto diversa da quella quotidiana. E non si tratta di essere più o meno professionali: i nostri tratti distintivi devono emergere.
- Hai davvero qualcosa da dire? Usciamo dalla logica che dobbiamo necessariamente esprimere un’opinione o che dobbiamo esserci ogni giorno. Non c’è cosa peggiore di un contenuto che non nasce da una riflessione ma che vuole solo ammaliare il pubblico. L’ego gioca brutti scherzi. Ne siamo tutti vittime in qualche modo. La nostra opportunità è la risposta onesta a una delle domande più potenti e rivelatrici che ci si possa fare: “sto parlando di me o a loro?”.
- Quanto scegli di condividere? Donare prima di ricevere è la formula vincente della comunicazione. E anche qui vale la gioia di fare una riflessione sul nostro ego che ci fa credere di avere per le mani contenuti unici che vogliamo preservare. Se c’è qualcosa di originale ed esclusivo è il nostro modo di comunicare unito alle sfumature che abbiamo colto noi. Il contenuto in sé è un terreno già battuto da altri. Usciamo dall’illusione di avere per le mani un tesoro. Il tesoro siamo noi. Condividere, poi, è un modo straordinario per imparare nuove cose.
Cavalcare la nostra unicità sui social media non solo ci aiuta a crescere in modo costruttivo insieme alla nostra community, ma risulta anche vantaggioso per la nostra salute mentale. E non è una battuta: sui social media non solo ti aiuterà a far crescere un pubblico attivo e coinvolto, ma sarà anche vantaggioso per la tua salute mentale. Uno studio condotto da Scientific American ha evidenziato che le persone che pubblicano in modo autentico sui social network sono più serene rispetto a chi si costruisce un personaggio o cerca di omologarsi.
La felicità non è un’utopia. È solo un grande atto di coraggio a vantaggio della nostra essenza.
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