Non c’è dono più grande da fare agli adolescenti dell’ascolto. Questo ci siamo dette con Mariangela Campo, giornalista costruttiva con uno sguardo rivolto ai giovani, quando ci siamo incontrate. Ho trovato irresistibile il suo entusiasmo tradotto in un progetto concreto: Giornalismo a scuola che da tempo osservo a distanza. Il suo impegno a favore dei ragazzi è speciale perché non porta solo la tecnica in aula ma anche – e soprattutto – i valori. Si prende cura dei suoi alunni, li fa emozionare, li fa esplorare e li fa crescere. Soprattutto, riesce a dare la risposta a una domanda che spesso noi adulti ci poniamo senza voler realmente dare una risposta: “Cosa possiamo fare per le nuove generazioni?”.
Quanto è importante che l’adulto entri nell’ottica del “fare” qualcosa per gli adolescenti piuttosto che continuare a dire che “sono fatti così”?

È difficile per un adolescente scoprire chi è e chi vuole diventare, mentre è condizionato dalla famiglia e dalla società. Noi adulti dovremmo ricordarci di quanto sia stato difficile diventare chi siamo oggi e, semplicemente, ascoltarli invece di chiedere loro di trasformarsi in quello che noi non siamo riusciti a diventare. Soprattutto noi genitori, proiettiamo le nostre aspettative sui nostri figli, perdendo di vista quello che vogliono loro. Molti insegnanti ed educatori hanno perso ogni contatto umano con i ragazzi. Questo succede perché non li capiscono: sono tutti nativi digitali, mentre la maggior parte degli insegnanti è migrante digitale. Questo dislivello li mette in difficoltà: si rendono conto che i ragazzi vogliono delle regole per la vita sociale, reale e virtuale, ma non sanno dargliele. I paradigmi sono così radicalmente cambiati che, anche volendo indagare tutte le diavolerie che usano gli adolescenti di oggi, impiegherebbero anni ad imparare, figuriamoci a dare delle regole. Secondo me si deve partire da qui: fare formazione digitale a tutti gli insegnanti e gli educatori, oltre che ai ragazzi, usando gli apparecchi tecnologici come lo smartphone per attività di insegnamento e apprendimento. Bisogna imparare le regole delle tecnologie di rete e di social networking. Dareste mai le chiavi di un’automobile a un ragazzo che non abbia mai fatto scuola guida? Con Internet è lo stesso: non possiamo regalare loro uno smartphone e pensare che lo possano usare da soli senza farsi male.
Tu con i ragazzi lavori da tempo. Come li racconteresti sulla base della tua esperienza?
Sono ragazzi feriti. Comunicare in modo appropriato è fondamentale per non fraintendere il pensiero degli altri. Se io dico a mio figlio, dopo un brutto voto, che è senza speranza, lo rendo insicuro. Se glielo dico tutti i giorni per uno, due, o tre anni, finirà col crederlo davvero e si comporterà di conseguenza. Dopo un brutto voto sarebbe meglio dire qualcosa come: “Hai preso un brutto voto e ne sono dispiaciuta, ma sono sicura che ti impegnerai di più la prossima volta” e magari ricordarci che i ragazzi non sono i voti che prendono a scuola. Ma non sono solo i genitori a comunicare male, lo fanno anche gli insegnanti quando dicono cose come: “non sederti lì, sennò diventi come lui”, “ma lui è così e non possiamo farci niente”, “ci abbiamo provato in tutti i modi, ma non ci arriva”. Più si sentono dire queste cose, più diventano insicuri e rancorosi, aggressivi.
Si difendono. Non a caso quando chiedo loro che cosa cambierebbero della scuola mi rispondono: vorremmo che i professori parlassero con noi dei nostri problemi, sia in classe sia in privato. Nella mia esperienza posso dire che non esistono adolescenti senza speranza: sono sensibili – li faccio piangere spesso -, divertenti, arguti, solidali, intelligenti e filosofi. C’è da imparare molto da loro, perché
hanno ancora quella spontaneità e quella fiducia negli altri che, da adulti,
sparisce.
Il tuo progetto Giornalismo a scuola: quanto ci ha messo a partire? Quali criticità hai riscontrato? Quali ancora adesso si presentano? Come le hai superate?
Era il 2015: immaginavo un laboratorio operativo in cui i preadolescenti, ragazzi di undici, dodici e tredici anni, quell’età in cui ancora non sai chi sei, cominciassero a farsi domande. Domande anche difficili: perché quel mio compagno fa il prepotente? Perché quell’altro pensa solo a studiare e non sa divertirsi? Perché mi hanno regalato uno smartphone e poi dicono che non lo posso usare? Perché gli adulti mi considerano un buono a nulla? Lo sono davvero? Così ho studiato un percorso che si sviluppa attraverso lezioni frontali, in cui i ragazzi imparano a conoscere se stessi e, attraverso il racconto di se stessi, le basi della scrittura online, l’utilizzo di piattaforme come WordPress. In ogni lezione tratto un argomento: il rispetto, la popolarità, la libertà, le regole, il bullismo e, dopo la discussione, i ragazzi scrivono le loro opinioni su questi temi. Oltre alla discussione su un tema specifico, in ogni lezione c’è una parte teorica che riguarda i vari tipi di articolo: la cronaca, l’opinione, la recensione. Le parti teoriche sono sempre critiche. Quando chiedo ai ragazzi il motivo della loro disattenzione, del continuo chiacchiericcio, delle facce annoiate, mi rispondono che sono uguali alle lezioni che svolgono tutti i giorni con i prof. Per ovviare a questo problema faccio preparare alcuni di loro – chi vuole – per tenere la lezione di teoria la volta dopo. Il punto di forza del progetto sono le interviste-video (singole e a gruppi), in cui faccio loro molte domande personali e non sempre facili: i ragazzi si mettono in gioco rispondendo con sincerità, anche quando quello che dicono può metterli nei guai con le loro famiglie e i prof. Le interviste piacciono moltissimo: i ragazzi possono esprimere le loro opinioni senza timore e senza cercare l’approvazione dei prof, possono parlare di sé e dei loro problemi, e questo è fondamentale per creare un rapporto di fiducia tra loro e me.
Cosa desiderano davvero i ragazzi: quanto, a volte, siamo lontani dal comprendere il loro universo?
La realtà è semplicissima: i ragazzi vogliono essere ascoltati e accettati per quello che sono.
Il tuo è un progetto proponibile ad altre realtà? Come si procede: quali step se qualcuno volesse lanciare a scuola un progetto per i ragazzi. È così complicato o ci sono spazi là dove esistono scuole aperte?
Il mio sogno è che Giornalismo a scuola si diffonda in tutta Italia. Non escludo, in futuro, di portare il laboratorio anche nel biennio delle superiori. Per avviare un progetto con le scuole basta presentarlo alle scuole tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, quando si svolgono i collegi docenti per organizzare i progetti per l’anno scolastico seguente. Sono infatti i professori a scegliere i progetti preferiti, non i dirigenti scolastici. Di solito invio una mail alla dirigenza e al collegio docenti presentando me stessa, il progetto, gli obiettivi didattici ed educativi del progetto. Giornalismo a scuola è molto apprezzato perché sviluppa una relazione empatica con i ragazzi, relazione che i prof, a volte, non riescono a instaurare per mancanza di tempo. Devono finire in tempo il Programma!
È un progetto che mi piace. Prenderò spunto per l’anno prossimo, visto che in quinta presenterò il giornale.
Ottimo! Siamo felici di averti ispirata e ricordati di contattare Mariangela per avere più info, lei non vede l’ora che il suo progetto si espanda.