Il giornalismo deve restare neutrale di fronte ai fatti. Su questa affermazione si è sviluppato nei decenni un dibattito che resta vivo e si è amplificato, oggi, sui social media. Si tratta di uno di quei temi a cui appartengono talmente tante sfumature che diventa difficile definire una verità assoluta. Separare i fatti dalle opinioni è possibile e auspicabile. Restare imparziali non lo è invece.
L’essere umano comunica da quando è apparso su questa Terra. E la comunicazione è sempre stata costruita sulla base di gesti, parole, emozioni. Non è mai stata, e mai potrebbe esserlo, neutrale. Come possiamo pensare che lo sia il giornalismo? Un giornalista che racconta un fatto fa diverse scelte: quale storia raccontare; come raccontarla; quali protagonisti mettere in luce; chi non coinvolgere; quale messaggio offrire al lettore; come restare ancorato alla storia. Scelte, queste, che nascono dai propri valori personali. Ecco perché non ha alcun senso parlare di oggettività del giornalista.
Il giornalismo e l’obiettività.
Sull’obiettività dell’informazione si discute nelle Università, sui palchi nazionali e internazionali, nelle redazioni e negli incontri tra professionisti. Idea comune a tutti è che l’obiettività vada totalmente ripensata alla luce di quel che è diventato il giornalismo oggi e di come viene proposta l’informazione ai lettori.
L’obiettività come assenza di opinione ci porterebbe ad un’informazione senza umanità. Persone sono coloro che leggono, persone sono coloro che scrivono. Più che ambire a trasformarci in robot che scrivono fatti, dovremmo cominciare a scendere dal piedistallo su cui ci siamo – e ci hanno – messi e raccontare i fatti in modo credibile. Questo è possibile seguendo la notizia anche nella sua evoluzione. Cambiare idea se i fatti non convincono più, per esempio, raccontare le fasi di una storia nella sua completezza o non lasciare cadere le notizie quando perdono l’interesse mediatico. Una seconda opportunità è quello che viene definito slow journalism: giornalismo lento. Scrivere dopo. In questo caso si esce completamente dalla logica dell’aggiornamento in tempo reale e si produce un articolo di approfondimento a fatto concluso con una panoramica decisamente più completa e arricchita dei dettagli che contano.
In entrambi i casi si fanno delle scelte. Ma quella che più conta è la scelta dell’obiettività come percorso di credibilità.
Restare neutrali è come lavarsene le mani.
Il giornalista oggi non rappresenta più solo la realtà ma è un punto di riferimento che deve necessariamente fornire conoscenza e determinare un invito all’azione nel lettore. Restare neutrali di fronte a tematiche come la crisi climatica, per esempio, suona più come un lavarsene le mani. Prendere una posizione diventa necessario se si vuole essere parte degli eventi che riguardano l’umanità intera. La credibilità non si perde schierandosi ma quando si sceglie di raccontare solo ciò che fornisce conferme al nostro pensiero. E oggi, che ci raccontano quanto l’intelligenza artificiale sarà determinante anche nella produzione delle notizie al posto dei giornalisti, risulta ancora più importante scrivere in modo empatico e costruttivo: per interpretare i fatti, raccontarli in chiave umana e garantire educazione dell’adulto. Sempre con chiarezza, distinguendo l’opinione personale dal racconto e con l’onestà di fornire quante più sfumature possibili.
Offrire punti differenti dal nostro, cambiare opinione, portare a termine il racconto e condividere tutto questo con il lettore. Questa è la chiave della credibilità.
Potrebbe essere, questa, una nuova versione dell’obiettività?
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