Condivisione è la parola chiave di questi tempi. Intercetto un contenuto e scelgo di condividerlo. Ma quali sono i criteri che spingono a compiere questa azione?

I post e gli articoli che leggiamo online hanno un biglietto da visita: il titolo. Un tempo era il motivo per cui sceglievamo di cliccare e leggere il contenuto. Oggi pare che la tendenza sia, piuttosto, la frenesia della condivisione. Invece di leggere, quindi, preferiamo condividere un contenuto talvolta senza nemmeno andare oltre il titolo.

Confesso: mi fa rabbrividire questo pensiero. Sarà che sui contenuti ci lavoro ogni singolo giorno della mia vita professionale e che trovo fondamentale utilizzare gli strumenti che abbiamo a disposizione per essere più attivi e non più passivi.

Condividiamo un titolo perché travolti da un fervore emozionale. Se quel titolo tocca delle leve allora nulla può fermare il nostro dito sul bottone “condividi”.

Titoli emozionali e immagini che generano reazioni sono il nostro carburante. Soprattutto se raccontano valori che sosteniamo o che vogliamo far credere di sostenere. O, ancora, se fanno presupporre un racconto su ciò che rifiutiamo come esseri umani.

Ma c’è un altro dato importante: la persona che pubblica quel contenuto. Quante volte mettiamo un like o condividiamo mossi dalla fiducia per l’autore? E non che sia un male questa scelta ma temo, in tutta sincerità, che ci tolga il piacere della scoperta.

Razionalmente conosciamo tutti molto bene il limite di queste scelte. Ma resta forte l’abitudine che spegne il pensiero e assopisce il guizzo illuminato.

Il titolo non è l’intera storia. Teniamolo a mente. Mi duole dirlo ma talvolta non è nemmeno parte della storia che viene raccontata. Il lettore può andare oltre questa vetrina acchiappa condivisioni e like e godersi una bella lettura o prendersi il tempo per leggere il proprio autore preferito senza darlo per scontato. Un buon modo per allenare la curiosità.

Non possiamo più permetterci di essere cinici, distratti e poco curiosi.