Le parole ci appartengono. Sono il bagaglio con cui veniamo al mondo. Dai primi versetti, che per noi hanno valore di concetti veri e propri, arriviamo a utilizzare parole compiute che scopriamo giorno dopo giorno.
Ho un bel ricordo di mia figlia Giulia nella fase tra i 4 e i 7 anni. Ogni volta che mi sentiva pronunciare una parola nuova per lei mi chiedeva «tu come fai a conoscerla?». Era stupita e io commossa. Lei mi insegna molto, per esempio che se noi adulti imparassimo a osservare e ascoltare i bambini potremmo scoprire con più facilità i doni che ci appartengono, i nostri saperi e ciò per cui essere grati nella vita. A quella domanda, le prime volte, ho risposto così: «l’ho imparata lungo la strada, con l’esperienza». Lei sorrideva soddisfatta e tornava ai suoi giochi. Poi un giorno mi ha chiesto: «mamma, ma imparerò anche io tutte queste parole belle che sai?». L’ho rassicurata dicendole che le avrebbe imparate continuando a prestare attenzione agli altri come stava facendo con me, leggendo, studiando e osservando la sua realtà.
Le parole ci appartengono: vibrano intorno a noi. Le usiamo tutti i giorni. Ad alcune diamo l’opportunità di portare con sé un significato profondo. Ad altre, invece, permettiamo di vivere quasi fossero un dono al vento. Ma le parole che usiamo non sono mai sprecate e questo non dovremmo dimenticarlo. Prova a pensare a cosa ti hanno donato le parole nel corso della tua esistenza.
Ci sono autori straordinari che hanno cambiato la mia vita attraverso le loro parole. Ma il potere delle parole non appartiene solo ai grandi scrittori. Non è la grandezza della mente da cui escono che ne determina il potere. Loro sono potenti per propria natura. Ed è questo un concetto con cui dobbiamo fare pace e cominciare a dialogare.
Una cosa mi emoziona sempre molto del mio lavoro, quando un lettore intercetta un mio contenuto e poi mi scrive che era proprio ciò di cui aveva bisogno, quel che doveva leggere in quel preciso momento della sua vita. Questa è la magia delle parole. Non riesco più a mettermi alla tastiera con superficialità: qualunque testo io debba produrre – personale o professionale – scelgo di metterci la stessa cura nell’uso delle parole. Una in fila all’altra. Pronte a creare un disegno che si chiama contenuto.
Mi piace che sia così.

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