Il giornalismo costruttivo è la risposta alla crescita del sensazionalismo, della negatività e della polarizzazione nell’informazione. Si tratta di un approccio alla notizia che vuole fornire ai lettori una corretta, accurata e contestualizzata immagine del mondo. Senza alcuna enfasi sul negativo o su ciò che non funziona e senza illudere che il mondo sia privo di problemi.
L’obiettivo di questo approccio giornalistico è di porsi come soluzione alla ormai scadente qualità di buona parte dell’informazione. I suoi toni sono calmi, non è focalizzato sugli scandali, i conflitti o l’indignazione. Si occupa di temi di grande valore sociale inserendoli nel disegno più grande e nel loro contesto.
Chiaro in mente tutto questo mi piacerebbe raccontarti cosa non è, invece, il giornalismo costruttivo. Sicuramente non rappresenta la narrazione di ciò che è carino, non è positivo e non ignora i problemi a favore di quelle che vengono definite soft news (notizie leggere). Non è nemmeno un giornalismo che spinge all’attivismo o alla definizione della soluzione migliore. Non è propaganda, in sostanza.
Da qualche mese, leggo e ascolto il termine giornalismo costruttivo qui e là. Ne sono felice perché questo è il frutto di un grande lavoro fatto negli anni e ritengo che sia un risultato di cui andare fieri. Però questo genera inevitabilmente confusione e a tratti leggerezza.
Proprio alla luce di quel che intercetto sui social e durante gli eventi, ho identificato alcune sfumature importanti su cui voglio mettere l’attenzione. Si tratta di interpretazioni scorrette che no rispondono ai principi del Constructive Journalism o del Solutions Journalism che sono i miei punti di riferimento su questo tema.
Vediamo, quindi cosa non è il giornalismo costruttivo.
1. Non è giornalismo positivo.
Appare ovvio ma non lo è. Vedo molti confondere la necessità di buone notizie con il giornalismo che costruisce visioni. Non che le notizie positive non vadano bene ma quando sono fini a se stesse ci illudono circa una realtà tutta rosa e fiori che poi non rappresenta quel che troviamo là fuori. Dico sempre che questo effetto finisce per generare la stessa reazione delle notizie negative: sto fermo. Le prime ci fanno credere che il mondo sia perfetto e non occorra fare di più, le seconde che siamo talmente invasi dai problemi che non potremmo mai fare nulla. La soluzione sta nelle sfumature: raccontare i problemi aprendosi alle opportunità. Quello di cui noi abbiamo un bisogno importante oggi è un giornalismo che porti qualità, educazione e approfondimento nelle nostre vite. Un giornalismo che ci aiuti a comprendere cosa sta accadendo e cosa possiamo fare. Esistono strade percorribili? E ora che conosciamo il problema cosa possiamo fare? C’è chi fa bene e può essere un esempio da seguire?
2. Non distrugge.
Altra banalità, penserai. Eppure non è così. Leggo di persone che promuovono un giornalismo di qualità unicamente raccontando quello che non va, pubblicando titoloni sbagliati, immagini che sono un pugno nello stomaco. Usano, in sostanza, gli strumenti della stampa che combattono sperando di passare un messaggio costruttivo. Il risultato è che tutti sappiamo cosa non dobbiamo fare, cosa non ci piace e cosa va cambiato ma pochi ci raccontano cosa va fatto, cosa funziona e come si può cambiare le cose concretamente. Chi fa giornalismo costruttivo non proporrà mai ciò che distrugge la stampa oggi: racconterà sempre quello che la stampa può fare.
3. Non ama le breaking news.
Il giornale DeCorrespondent versione inglese ha lanciato l’hashtag #unbreakingnews a questo proposito. Ammesso che esista ancora – per i media – lo spazio di arrivare prima di altri, le notizie dell’ultima ora che fanno scalpore non sono giornalismo costruttivo. Perché si basano su fatti raccontati da altri, fonti promiscue, talvolta voci o segnali intercettati chissà dove. Queste notizie lasciano il tempo che trovano e il mio invito è a non dar loro troppo peso e attendere aggiornamenti. Quelli che si possono trasformare in un giornalismo di qualità. Accade ma non il giorno stesso: ci vuole tempo per informarsi, conoscere i fatti e sentire le fonti. Questo è anche chiamato slow journalism, giornalismo lento. È l’informazione che si prende il tempo.
4. Non ha sempre la soluzione giusta.
Le soluzioni ai problemi esistono. E sono innumerevoli. Si dice che non viene generato un problema che non abbia anche una sua soluzione. Il giornalista costruttivo va a cercare queste soluzioni, le racconta e le propone come esempio. Non è lui a generarle, non è il compito di chi scrive, ma le sollecita là dove è possibile. Le chiede alle istituzioni, le cerca tra le comunità, se le fa raccontare da esperti. E dopo averle proposte ai lettori resta sul pezzo: segue l’evoluzione e accetta ogni variazione possibile. Funziona? Non funziona? Solo il tempo lo può dire, ma il giornalista deve raccontare.
5. Non crea eroi.
Non ci sono eroi, siamo tutti eroi. Non è costruttivo raccontare storie di persone che ce l’hanno fatta creando dei miti. Il rischio è di creare un distacco troppo netto con il lettore che si troverà ancora in quello stato di impotenza che lo blocca di fronte all’azione. Siamo tutti esseri umani e quindi ci comportiamo da esseri umani: quando abbiamo successo e quando no. Il giornalismo costruttivo questa cosa non se la dimentica: il lettore deve potersi identificare, cogliere ispirazioni e crescere grazie all’articolo letto. Quante cose si possono scoprire dalla storia di una persona? Innumerevoli.
Se gli organi d’informazione fossero più comprensivi, anziché limitarsi a descrivere i trionfi altrui come se fossero misteriosi fatti compiuti, spenderebbero la maggior parte delle energie per spiegare esattamente a cosa sono dovuti. Presenterebbero le storie di persone di successo come casi da studiare, comprendere ed emulare, e non, come accade ora, da ammirare o detestare.
Alain De Botton
6. Non è sprovveduto.
Ogni parola pubblicata crea una visione della realtà nel lettore, una sua personale percezione dello stato in cui si trova il mondo. Il valore delle parole è importante e riguarda tutti noi ma in misura maggiore chi si occupa di informare il pubblico. Il giornalista ha una grande responsabilità: anche per una sola parola scritta o detta, anche nei confronti di un solo lettore. Questo è un elemento di grande importanza nel giornalismo costruttivo che si basa su valori come empatia, rispetto, dignità di chi legge le notizie. Se un’immagine crea turbamento e non mostra altro che degrado, se una parola è offensiva e distruttiva: quello non è giornalismo costruttivo. Non lo è mai.
Grazie per questo post chiarificatore . C’è tanto bisogno di giornalismo costruttivo. Potrebbe anche essere una risorsa per la crisi dell’editoria.
Direi proprio di sì, Speranza. Questa è la chiave per migliorare la situazione nel panorama italiano dell’editoria. Incrociamo le dita e lavoriamo affinché si diffonda.