I giornalisti si appellano all’obiettività. Il lettore la reclama. Pochi si fermano a una riflessione: l’obiettività, forse, non esiste più. La si pratica poco, la si pretende in una versione sempre meno fedele all’originale. Negli ultimi decenni qualcosa è cambiato: il giornalismo ha vissuto trasformazioni che hanno fatto barcollare l’ambizione all’obiettività a favore di una risposta più adeguata alle presunte necessità dell’informazione contemporanea.
Non è sempre stato così. Il concetto di obiettività nel giornalismo trova le sue origini negli ideali del tardo 19mo secolo. L’informazione, prima di allora, era un megafono per gli eventi importanti. I giornali erano pieni di comunicazioni provenienti dalle alte cariche: dichiarazioni di guerra, cambi delle rotte di navigazione, inviti alla preghiera, proclami reali.
È stato solo con l’Illuminismo che venne inaugurata l’idea del giornalismo come contropotere critico. Si cominciò a diffondere l’idea che il giornalismo dovesse fungere da cane da guardia (watchdog) e non da semplice messaggero. Questa convinzione spinse nella direzione dell’obiettività della stampa con l’intento di promulgare la verità e l’indipendenza dei media di allora. L’informazione avrebbe deciso cosa riportare, cosa era vero o falso. I giornalisti prendevano posizione in nome dei propri lettori.
Negli ultimi decenni, però, l’obiettività si è trasformata in qualcosa di molto diverso. Influenzati come siamo dall’ aspetto economico che ha invaso il mondo dell’informazione e dalle nuove dinamiche professionali, ci siamo fatti l’idea che essere obiettivi significhi non avere affatto un punto di vista. E quindi stiamo ben lontani da questo principio.
In sostanza, l’evoluzione infelice di una visione ammirevole.
Se fossimo ancora al tempo dell’idea della stampa come contropotere critico allora si potrebbe parlare di obiettività. Ma non è più così, nel tentativo di preservare ossessivamente l’ideale abbiamo finito per snaturarlo e renderlo l’opposto di ciò che dovrebbe essere. Non un’assenza di punto di vista, ma una presa di posizione a favore del cittadino. Ed è proprio questo ciò che viene oggi disatteso. L’idea che ci siamo costruiti è che la stampa sia nemica del popolo e voce di chi sta al potere.
L’obiettività non è assenza di opinione. Non è raccontare i fatti senza aggiungere considerazioni. Non lo è perché non sarebbe informazione. Ogni fatto è il risultato di un’umana interpretazione. Dietro ogni storia, ogni dettaglio, ogni notizia si cela un inevitabile percorso di esperienze che generano opinioni che, a loro volta, danno vita a un punto di vista. Cosa è reale? Come lo abbiamo scoperto? Cosa è vero? Perché è importante?
Sono in tanti a chiedere ai giornalisti di sospendere il giudizio morale. Questo non è possibile: siamo esseri umani e non possiamo chiedere all’informazione di essere un affare amorale. Un buon giornalismo porta con sè un set di idee e credenze che gli permettono di vedere cosa è giusto e sbagliato, cosa è rilevante o secondario, vero o falso.
Chiedere ai giornalisti di lasciare la propria morale all’ingresso farebbe accadere sostanzialmente due cose: egli tornerebbe a casa senza una storia da raccontare oppure cederebbe alla necessità di raccontare ciò che risponde alle esigenze di chi ha definito il timone delle notizie.
Cosa accade oggi sulla stampa? Che fine ha fatto l’obiettività?
L’informazione è diventata, sostanzialmente, il megafono del sistema. Siamo tornati agli albori. Questo il senso. Quello che accade è una semplice ripetizione delle opinioni di chi parla dall’alto. Con un imbarazzante eccesso e un certo servilismo. I giornalisti sono tornati a essere i messaggeri delle élite.
Un loop infinito delle stesse cose: ancora e ancora. I giornalisti coprono ciò che altri hanno già scritto. Non possono bucare la notizia: è la gara dell’informazione. Meglio così che prendersi la responsabilità di definire un proprio timone editoriale.
Tutto questo non fa che generare l’illusione di fare informazione quando si fa esattamente l’opposto.
Ed è pericoloso perché la stampa è la fonte di informazione più influente della nostra società. Dà forma a ciò che conosciamo, comprendiamo e pensiamo del mondo. Influenza il nostro modo di vedere le altre persone, le culture e i paesi. Impatta, anche, sull’idea che abbiamo di noi stessi.
Serve tornare al vero senso dell’obiettività: raccontare sulla base del proprio giudizio morale, cambiare idea se i fatti convincono e condividere tutto questo con le persone che ci seguono.
Chi è oggi il giornalista? Non un watchdog e nemmeno un segugio. Quello che viene chiamato a fare il giornalista oggi è recuperare la relazione con il suo lettore, tenerlo unito a sé attraverso l’ascolto, la condivisione e l’interazione. Con profonda umiltà, senza salire su un podio e senza farsi conquistare dal loop informativo che sta deteriorando la fiducia del lettore e il fascino del narrare.
È verso questa direzione che sta guardando il giornalismo.
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