Dicembre 2010. Mi trovavo ancora in ospedale. Giulia era nata da poche ore e noi eravamo in una bolla ovattata di amore. Una bolla interrotta da una frase udita nel corridoio: «mettere al mondo un figlio oggi è un grande atto di coraggio, con quello che si sente in giro». Quella frase si è depositata nella mia mente. Me ne sono resa conto qualche tempo dopo, quando in me è nata la consapevolezza che il mondo fosse migliore di quel che ci mostrano i media. Da quel momento ho scelto una dieta mediatica.
Il concetto del “si stava meglio prima” è ricorrente nelle persone anziane e l’ho sentito dire spesso dai miei genitori e dai miei nonni. Eppure, a guardare bene, oggi abbiamo una prospettiva di vita media più lunga, un grande supporto tecnologico, grandi comodità, minori conflitti, meno povertà. Ma perché, allora, è comune pensare che si stesse meglio prima?
La risposta è nata in seno ai miei studi e alle mie ricerche condotte negli ultimi anni e relativi alla visione che abbiamo del mondo. Da dove arriva la nostra opinione? Dalle notizie che come megafoni amplificano ciò che accade nella nostra società. Il modo in cui percepiamo il mondo riflette anche come noi vediamo noi stessi e gli altri.
Percezione.
Non tanto quella creata delle esperienze in sé ma dalle storie che leggiamo e che ascoltiamo. Perché se l’esperienza quotidiana ci racconta una realtà migliore, ciò che leggiamo e ascoltiamo ci restituisce un mondo decisamente deforme.
Ricordo ancora che con Giulia tra le braccia – poche settimane di vita – io e mio marito abbiamo deciso che non avremmo più visto alcun TG e letto alcun giornale. Mi sentivo troppo debole per poter sostenere le notizie che venivano veicolate. «Ma tu sei una giornalista non puoi evitare le notizie», «Sapere cosa accade nel mondo è importante»: i commenti più comuni delle persone accanto a noi.
Una scelta forse troppo perentoria, la mia, e di questo mi sono resa conto qualche tempo dopo. Possibile che per stare bene devo stare lontana dalle notizie? Perché le notizie veicolate dai media sono per lo più negative? Che responsabilità abbiamo noi giornalisti rispetto alla percezione che le persone hanno della realtà? Ma soprattutto, il mondo è davvero così?
Il mondo è anche peggio di come immagini. Questo è il messaggio che si percepisce dai media. Eppure non è cosi. Il mondo, là fuori, è pieno di brave persone e di storie di speranza. Esistono dati e statistiche che ci parlano di quella che stiamo vivendo come dell’epoca più pacifica della storia dell’umanità.
Il perché la stampa non ci restituisca la realtà in tutti i suoi aspetti – anche positivi – va fatto risalire a una serie di credenze secondo le quali una buona notizia non è una notizia. Ma se guardiamo la deontologia professionale vi leggiamo che lo scopo dei media è quello di dare valore al lettore, di dargli il potere della conoscenza. Nulla a che vedere con la negatività, la fruizione passiva delle notizie e la perdita di fiducia nell’umanità.
Studiando con il prof. Martin Seligman, padre della psicologia positiva, ho potuto appurare che ciò che noi leggiamo o ascoltiamo sui media si fissa nella nostra mente come se fosse un’esperienza personale. Gli input che riceviamo dai media creano le nostre memorie, le nostre conoscenze e le nostre credenze. Esattamente come se vivessimo quelle storie.
Le notizie non solo ci dicono cosa pensare ma anche come leggere la realtà. Ti basta pensare a come ti senti dopo aver letto il giornale o ascoltato un TG. Quali sono i tuoi pensieri? Quali le tue sensazioni?
Secondo una ricerca condotta da Arianna Huffington, attuale fondatrice del progetto Thrive Global, Shawn Anchor, autore di besteller e Ted Speaker e Michelle Gielan, conduttrice della BBC, 10 minuti di notizie al mattino appena svegli influenzano in modo negativo le successive 6 ore della nostra giornata. Questo non accade se le notizie che leggiamo raccontano storie di riuscita personale, di crescita, di soluzioni, di trasformazione. Queste hanno un potere altamente ispirante per noi. Potere che ha un forte impatto positivo sul nostro benessere e sull’andamento delle nostre giornate e delle nostre relazioni.
Questo è il giornalismo in cui personalmente credo: il giornalismo costruttivo che racconta soluzioni più che drammi. Perché se è vero che nel mondo esistono notizie da far rabbrividire è anche vero che esistono storie di grande impatto positivo. E se dovessi avere un buon auspicio per mia figlia Giulia e le generazioni future è quello che possano essere consapevoli di come le notizie influiscono sulla nostra mente e di come una dieta mediatica sia necessaria.
È importante che le generazioni future possano vedere sì i problemi del mondo, ma possano altresì sentirsi coinvolti nelle possibili soluzioni.
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